Sentenza del 23/09/2022 n. 27916 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
1. Con sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3969/01/14 depositata il 13 giugno 2014 accoglieva l'appello principale proposto dall'Agenzia delle Entrate e rigettava l'appello incidentale della società LB Costruzioni S.r.l., avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Viterbo n. 164/1/2013, la quale in prime cure riuniva ed accoglieva parzialmente i ricorsi proposti dalla contribuente avverso due avvisi di accertamento per IRPEF, IRAP, IVA e accessori relativi agli anni d'imposta 2007 e 2008, notificato dall'Agenzia delle entrate.
2. In particolare, sulla base di accertamenti bancari ex D.P.R. n. 600 del 1973 ART. 32 venivano accertati ai fini delle II.DD. costi in-deducibili, l'omessa contabilizzazione e dichiarazione di ricavi, prelevamenti bancari non giustificati, versamenti non giustificati e non contabilizzati e, ai fini IVA, l'omessa indicazione di ricavi e l'indebita detrazione dell'imposta, riprese integralmente confermate dalla CTR. 3. Il contribuente ricorre per sei motivi, che illustra con memoria, cui replica l'Agenzia delle entrate con controricorso.
Motivi della decisione
4. Logicamente va esaminato prima il secondo motivo, il quale investe una questione procedimentale, con il quale la ricorrente - ai fini dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. - deduce la violazione del D.P.R. n.600 del 29 settembre 1973, art. 32, nonché D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, art. 19, poiché la Commissione tributaria regionale non ha ritenuto illegittimi gli avvisi impugnati, nonostante il difetto di motivazione dei provvedimenti che autorizzavano le indagini bancarie espletate.
5. Il motivo è infondato. La Corte ha già precisato in numerosi casi analoghi che, in linea generale, l'autorizzazione prescritta ai fini dell'espletamento delle indagini bancarie, esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione (cfr., ad es. Cass. 10/02/2017, n. 3628). Pertanto, la sua mancata allegazione ed esibizione all'interessato non comporta l'illegittimità dell'avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente.
6. Con il primo motivo - in relazione all'art. 360 c.p.c. comma 1 n. 4 - si lamenta la violazione degli D.P.R. n.600 del 29 settembre 1973, art. 32, comma 1, n. 2) e art. 37, comma 3, nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c., poiché la Commissione tributaria regionale ha ritenuto sufficiente, al fine di ricondurre la titolarità dei conti correnti dell'amministratore unico della contribuente a quest'ultima, la sola circostanza che egli ne fosse il legale rappresentante e socio di maggioranza.
Il terzo motivo prospetta - agli effetti dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. - la violazione del D.P.R. n.600 del 29 settembre 1973, art. 32, comma 1, n. 2) nonché dell'art. 2697 c.c., avendo il giudice d'appello invertito l'onere della prova, attribuendo le movimentazioni registrate sui conti correnti dell'amministratore della società direttamente a quest'ultima.
Con il quarto motivo si assume - in rapporto all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. - la violazione del D.Lgs. n.546 del 31 dicembre 1992, art. 36, atteso che la motivazione della Commissione tributaria regionale, sul tema della riconducibilità alla contribuente delle movimentazioni bancarie registrate sui conti del suo amministratore, sarebbe meramente apparente.
7. I suddetti motivi, meritevoli di trattazione congiunta per l'analoga tecnica di formulazione, sono tutti inammissibili.
Va innanzitutto rammentato che "La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture" (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232).
Al contrario, il ricorso per cassazione il quale, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. S.U. 27/12/2019, n. 34476) è inammissibile.
8. Orbene, nella vicenda che ci occupa, il giudice di merito con precisi accertamenti fattuali non censurabili in questa sede nei termini proposti, ha ritenuto che i numerosi conti correnti intestati all'amministratore unico della società, titolare del 95% delle quote sociali, fossero in realtà tutti riferibili all'attività d'impresa esercitata dalla contribuente. Tali accertamenti hanno trovato il loro fondamento, non solo sul ruolo di controllo rivestito dal detto amministratore detentore della quasi totalità delle quote all'interno della compagine sociale, ma anche sulla sicura circostanza che nei detti conti correnti sono confluite movimentazioni di denaro sicuramente riconducibili agli affari curati dalla società.
9. Ciò posto, non coglie nel segno la prospettata violazione dell'onere della prova, in quanto in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l'art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 fonda una presunzione relativa circa la natura di ricavi - sia dei prelevamenti sia dei versamenti - sui conti correnti (cfr. Cass. 16/07/2020, n. 15161). La presunzione è superabile attraverso la prova, da parte del contribuente, del fatto che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili. Pertanto, in virtù di tale consolidato riparto dell'onere della prova, grava sul contribuente per superare la suddetta presunzione relativa la dimostrazione della sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev'essere fondata su concreti elementi di prova, e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all'equità.
10. Al proposito, nuovamente, la Commissione tributaria regionale, attraverso una indagine in fatto qui non sindacabile, ha ritenuto che tutti i flussi di denaro registrati sui conti corrente - apparentemente intestati al suo legale rappresentante, ma, come accertato, da ritenere nella titolarità della società -, costituissero ricavi dell'impresa non contabilizzati, non palesandosi idonea la documentazione prodotta dalla contribuente a superare la presunzione in parola (cfr. ultima pag. sentenza impugnata). Infine, la valutazione dell'idoneità di tale documentazione non è revocabile in dubbio in questa sede di legittimità, non potendo essere rovesciato il bilanciamento delle prove, una volta che sia stata dimostrata la valutazione del fatto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), come avvenuto nel caso di specie.
11. Con il quinto motivo - in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. - si prospetta la violazione del D.P.R. n.600 del 29 settembre 1973, art. 32 e del D.P.R. n.917 del 22 dicembre 1986, art. 109 e dell'art. 53 Cost., poiché la Commissione tributaria regionale ha escluso dall'imponibile i costi, pure sostenuti dalla società per ottenere i maggiori ricavi accertati.
12. Il motivo è inammissibile. Come prospetta la stessa ricorrente, la CTR ha espressamente rigettato tale domanda, avanzata in via gra-data avanti al giudice d'appello e, attraverso la censura in esame, apparentemente per violazione di legge, si mira di nuovo ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, il quale ha accertato che non vi era prova certa che i costi, in tesi sostenuti per conseguire i maggiori ricavi ottenuti dall'impresa, non fossero già stati oggetto di contabilizzazione e detrazione (cfr. p.7 della sentenza impugnata). La censura investe in termini inammissibili l'accertamento del giudice d'appello.
13. Con il sesto motivo si lamenta - agli effetti dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. - la violazione D.P.R. n.600 del 29 settembre 1973, art. 42, del L. n. 212 del 27 luglio 2000, art. 7, dell'art. 3 della L. n. 241 del 7 agosto 1990, considerato che gli avvisi di accertamento impugnati avevano ritenuto indeducibili taluni costi, senza neppure motivare sulle ragioni per cui si era mostrata adesione alle risultanze del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza.
14. Il motivo è affetto da profili di inammissibilità e di infondatezza. In primo luogo, la contribuente non pare cogliere la ratio decidendi, espressa alle pagg.7 e 8 della CTR, secondo la quale la società ha rinunciato ad opporre eccezioni di merito in relazione alla ripresa a tassazione di costi indeducibili. In secondo luogo, con riferimento alla questione sottostante, va rammentato che, in tema di avviso di accertamento, la motivazione per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass. 20/12/2018, n. 32957).
15. Al rigetto del ricorso segue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.
Si dì atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2022
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