Sentenza del 04/02/2015 n. 1985 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Svolgimento del processo
La ditta individuale "B. M." di A.C. (di seguito, per brevità, B.) in persona della titolare, impugnò dinanzi alla CTP di Pisa l'avviso di accertamento notificatole ai fini ICI per l'anno 1999, con riferimento ai fabbricati ed alle costruzioni coperte che si trovavano nell'area demaniale sulla quale insiste in XXXXX lo stabilimento balneare gestito dalla ricorrente.
L'adita CTP, condividendo le difese del resistente Comune di Pisa, rigettò il ricorso.
Sull'appello della contribuente avverso detta pronuncia, la CTR della Toscana, con sentenza n. 8/25/08 depositata il 6 marzo 2008, accolse il gravame. osservò il giudice di secondo grado che per i periodi d'imposta anteriori all'entrata in vigore della L. n. 388 del 2000, art. 18 (cd. finanziaria 2001) le controversie riguardanti la soggezione all'ICI dei concessionari di aree demaniali dovevano essere risolte alla stregua del contenuto dell'atto di concessione disciplinante il loro rapporto con il Comune. Nella fattispecie in esame ritenne la CTR di dovere qualificare il rapporto derivante dalla concessione come avente natura meramente obbligatoria, in tal senso deponendo in maniera decisiva l'obbligo assunto dal concessionario di rimuovere alla scadenza le strutture realizzate sull'area demaniale.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il Comune di Pisa, affidando il ricorso a sei motivi.
La contribuente resiste con controricorso; l'Agenzia del Territorio, alla quale pure è stato notificato il ricorso, non ha svolto difese.
Il Comune di Pisa e la ditta Bagno Mirasole hanno altresì depositato memoria, facendo ciascuna riferimento alle pronunce rispettivamente favorevoli rese da questa Corte all'Ente o ai gestori degli stabilimenti balneari in controversie similari.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il Comune ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 446 del 1997; violazione della L. n. 388 del 2000, art. 18 (art. 360 c.p.c., n. 3). la L. n. 388 del 2000, art. 18 interpretato dal giudice di secondo grado come avente portata innovativa al fine di includere il concessionario di beni demaniali come soggetto passivo d'imposta ai fini ICI, secondo l'Amministrazione ricorrente ha la finalità di chiarire che, dal primo gennaio 2001, il concessionario è soggetto passivo ICI, a prescindere dalla natura reale o obbligatoria dei diritti scaturenti dal rapporto concessorio. Nella fattispecie in esame il Comune avrebbe individuato la ditta esercente lo stabilimento balneare in questione come soggetto passivo d'imposta ICI per l'anno 1999 non sulla base della L. n. 388 del 2000, menzionato art. 18, ma in forza del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 quale modificato dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58 quale titolare del diritto di superficie sull'area sulla quale erano stati realizzati i fabbricati e le costruzioni coperte. L'illustrazione del motivo, trattandosi di controversia per la quale è ancora applicabile, ratione temporis, l'art. 366 bis c.p.c. è conclusa dal seguente quesito di diritto: "Dica la Corte di Cassazione se il concessionario di aree demaniali, relativamente ai manufatti costruiti da lui stesso sulle aree avute in concessione, debba essere considerato soggetto passivo ai fini Ici a partire dall'anno d'imposta 1998, secondo le previsioni normative di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, oppure a partire dall'anno di imposta 2001 L. n. 388 del 2000, ex art. 18".
2. Con il secondo motivo l'ente ricorrente censura cumulativamente la sentenza impugnata per "violazione e falsa applicazione degli artt. 934, 952, 953, 954, 955 e 956 cod. civ. ( art. 360 c.p.c., n. 3).
Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5)".
Secondo il Comune ricorrente la ditta che gestisce lo stabilimento balneare, che ebbe a realizzare i manufatti in questione in virtù del rapporto concessorio in atto, al pari degli altri concessionari di aree del litorale sito nel tenimento del Comune di Pisa, è da intendersi quale titolare del diritto reale di superficie e come tale soggetto passivo d'imposta ICI nell'indicato periodo di riferimento.
In tale senso è irrilevante, secondo il Comune ricorrente, il titolo del rapporto, nel senso che la qualificazione come locazione non è decisiva nel senso di escludere la natura reale del rapporto ove i poteri siano tali da mantenere i manufatti costruiti sull'area, ove le edificazioni sono iniziate a partire dagli anni cinquanta. Nel senso della costituzione di un vero e proprio diritto di proprietà superficiaria deporrebbero gli artt. 41 e 46 c.n., non essendosi peraltro mai di fatto verificato che sia stata disposta alla scadenza del rapporto concessorio la rimozione dei fabbricati.
Il quesito, unico, conclusivo, indicato come quesito di diritto, è il seguente: "Dica la Corte di Cassazione se i gestori degli stabilimenti balneari del litorale pisano, nel caso di specie i gestori del "Bagno Mirasole" costruendo dei manufatti su terreno pubblico dato loro in concessione diventano titolari di un diritto di superficie e pertanto soggetti passivi ai fini Ici a partire dall'anno 1998".
3. Con il terzo motivo il Comune ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 5 e 7 (art. 360 c.p.c., n. 3).
Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5)".
Lamenta il Comune ricorrente che il giudice di secondo grado abbia ritenuto formalmente esistente la dichiarazione di inserimento nella categoria E/9 degli stabilimenti balneari, sulla base di risalente denuncia, ritenendo detta categoria giustificativa della non assoggettabilità delle relative aree occupate da fabbricati all'ICI, laddove l'Agenzia del Territorio aveva individuato quale categoria appropriata ed esatta, per gli stabilimenti balneari della zona di Marina di Pisa e di Tirrenia, quella D/8, che rendeva esigibile il tributo in oggetto.
Il quesito di diritto è del seguente tenore: "Dica la Corte di Cassazione se possa essere considerato esente da imposta un immobile in cui si svolge un'attività commerciale, quale uno stabilimento balneare, in ragione del fatto che al catasto è stato erroneamente inserito nella categoria E/9, cioè in una categoria non rispondente alla situazione attuale".
4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione della L. 11 agosto 1939, n. 1249, art. 28 e del D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, art. 34 quinquies ( art. 360 c.p.c., n. 3)".
Il Comune istante, rilevato che gli immobili realizzati dalla ditta sull'area demaniale della quale è concessionaria, sono da ritenersi non dichiarati, osserva che non è possibile ritenere esentato dall'imposta il soggetto che abbia omesso la dichiarazione di accatastamento o di variazione, solo perché sprovvisti di rendita o perché per essi non sia stato possibile individuare una rendita presunta, come nella fattispecie in esame. Ciò avrebbe quindi giustificato l'operato del Comune che, per emettere l'avviso di accertamento, aveva determinato l'imponibile in forza di stima eseguita dal proprio Ufficio Tecnico.
L'illustrazione del motivo è conclusa dal seguente quesito di diritto: "Dica la Corte di Cassazione se il contribuente che abbia omesso di dichiarare i propri immobili al Catasto edilizio urbano possa omettere il pagamento dell'imposta Ici sui fabbricati sul solo presupposto che questi, a causa della mancata dichiarazione al Catasto, risultano sprovvisti di rendita".
5. Con il quinto motivo l'ente ricorrente censura cumulativamente la sentenza impugnata per "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 (art. 360 c.p.c., n. 3); insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia". Sviluppando le considerazioni esposte nel motivo precedente, il Comune adduce, sotto altro profilo, la legittimità della determinazione della base imponibile del tributo in forza di stima del proprio Ufficio Tecnico, rilevando come la ditta non abbia mai fatto pervenire al Comune le proprie scritture contabili, in violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 rilevando come la sopravvenuta normativa ( L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336) abbia poi espressamente attribuito ai Comuni il potere di sollecitare all'Agenzia del Territorio l'accertamento di situazioni relative alla presenza di immobili di proprietà privata non dichiarati in catasto, ciò confermando la legittimità dell'operato del Comune di Pisa, che, anteriormente, per combattere l'evasione, ha dovuto far necessariamente ricorso ad una stima. Il (solo) conclusivo quesito di diritto è il seguente: "Dica la Corte di Cassazione se il Comune di Pisa, in quanto ente impositore, possa rinunciare ad introitare l'ici relativa ad immobili privi di rendita perché non ancora accatastati, in assenza di casi similari e di scritture contabili depositate, rinunciando così, all'obbligo inderogabile di provvedere ad effettuare il dovuto prelievo fiscale".
6. Infine, con il sesto motivo, il Comune di Pisa denuncia "violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 in relazione all'art. 53 Cost. ed all'art. 1367 c.c. ( art. 360 n. 3 c.p.c.).
Anche con detto motivo il Comune rileva la correttezza del proprio operato nella determinazione della base imponibile, essendo stata la relativa stima, compiuta in collaborazione con l'Agenzia del Territorio, assolutamente congrua, ripercorrendone in dettaglio i relativi passaggi, come del resto riconosciuto da copiosa giurisprudenza di merito (CTP di Pisa) favorevole alle tesi espresse dall'ente impositore nei confronti degli stabilimenti balneari per gli anni 1998, 1999 e 2000, e per l'anno 1998 dalla stessa CTR della Toscana con le sentenze citate in ricorso.
Il conclusivo quesito di diritto è il seguente: "Dica la Corte di Cassazione se il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 debba o meno essere interpretato alla luce del principio generale dell'obbligatorietà della contribuzione alle spese pubbliche in base alla capacità contributiva comunque nel senso in cui possa avere un qualche effetto, e se, applicando tali principi, il Comune possa, o meglio debba, ricorrere ad autonoma stima in relazione a manufatti non denunciati o denunciati in maniera errata al Catasto ed in assenza degli altri indici previsti dall'art. 5 sopra detto".
7. Il ricorso, in primo luogo, deve essere dichiarato inammissibile nei confronti dell'Agenzia del Territorio (indicata dal Comune ricorrente in ricorso come Agenzia del Territorio di Roma), che non è stata parte del doppio grado del giudizio di merito.
Quanto alla mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di legittimità della S.E.Pi - Società Entrate Pisa - S.p.A., essa è eccepita dalla controricorrente società sul presupposto che anche nei confronti del concessionario si sia svolto il giudizio di merito tanto nel primo quanto nel secondo grado. Premesso che dalla sentenza impugnata non risulta che il giudizio sia stato incardinato effettivamente anche nei confronti della S.E.Pi, deve escludersi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, esista litisconsorzio necessario tra Ente titolare della pretesa tributaria e concessionario della riscossione (cfr., per tutte, Cass. civ. sez. unite 25 luglio 2007, n. 16412).
Quand'anche, tuttavia, effettivamente il concessionario sia stato parte del doppio grado del giudizio di merito come dedotto dalla società controricorrente al fine di eccepire (anche) riguardo a tale profilo l'inammissibilità dell'avverso ricorso per cassazione, va ritenuta, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. sez. unite ord. 22 marzo 2010, n. 6826; in senso conforme Cass. civ. sez. 3 17 giugno 2013, n. 15106 e Cass. civ. sez. 3 18 gennaio 2012, n. 690) in ossequio all'osservanza del principio della ragionevole durata del processo, la superfluità di provvedere alla formalità relativa all'integrazione del contraddittorio nei confronti del concessionario quale litisconsorte sul piano processuale, essendo il ricorso, sotto altri profili, che si passano di seguito ad esaminare, inammissibile.
8. Va dato atto, preliminarmente, che alcun rilievo può essere attribuito, riguardo alla controversia in esame, alla pronuncia di questa Corte (Cass. civ. sez. 5 26 novembre 2010, n. 24011) resa tra le stesse parti, avente ad oggetto il ricorso per cassazione proposto dal Comune di Pisa avverso sentenza della CTR della Toscana che, in accoglimento dell'appello della ditta esercente lo stabilimento balneare, aveva dichiarato l'illegittimità dell'avviso di accertamento ICI per l'anno 1998. Ciò in quanto questa Corte, con la citata pronuncia, si era limitata ad accogliere il ricorso unicamente per questioni di rito, ritenendo la sentenza impugnata viziata per aver pronunciato su domanda proposta per la prima volta con l'atto d'appello.
9. Ciò premesso, il ricorso proposto dal Comune di Pisa avverso la sentenza n. 8/25/08, che ha ritenuto illegittimo l'avviso di accertamento ai fini ICI per l'anno 1999, è inammissibile per assoluta inidoneità dei quesiti così come formulati dal ricorrente, essendo ancora applicabile, ratione temporis, al presente giudizio, l'art. 366 bis c.p.c..
Essi, infatti, risultano formulati - salvo che in ordine a quanto si verrà ad esaminare di seguito con riferimento al secondo - in modo generico ed astratto (cfr. tra le molte, Cass. civ. sez. unite 5 gennaio 2007, n. 36) senza alcun riferimento specifico alla fattispecie e - con riferimento ai denunciati vizi di violazione di legge, senza che, oltre al riferimento indicato delle norme che si assumono violate, sia specificamente indicata la correlativa statuizione della decisione impugnata che si assume erronea in diritto. Più puntualmente, richiamata la sopra effettuata trascrizione letterale di ciascun quesito, va osservato in dettaglio quanto segue.
9.1. Il primo quesito si risolve in un generico interpello sulla questione di diritto astrattamente prospettata, senza che neppure sia dato cogliere la rilevanza riguardo alla fattispecie concreta, atteso che il ricorso (cfr. infra, punto 9.2) è carente in ordine al requisito dell'autosufficienza quanto all'indicazione dei presupposti normativi indicati nell'avviso di accertamento ai fini della pretesa del tributo ICI nei confronti del gestore dello stabilimento balneare per l'anno 1999, apparendo, in ogni caso, opportuno ricordare al riguardo che le Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. civ. sez. unite 16 febbraio 2009, n. 3692) affermarono il principio che, nel caso di proprietà superficiaria, l'assoggettamento dell'immobile all'ICI deriva già dal testo originario del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 e non dalla modifica apportatavi dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, comma 1, che espressamente ha ricompreso tra i soggetti passivi il titolare del diritto di superficie, in ragione del carattere meramente interpretativo della norma del 1997.
9.2 Il secondo quesito denuncia in maniera promiscua il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ( artt. 934, 952, 953, 954, 955 e 956 c.c.) ed insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia. La sua illustrazione si conclude peraltro con unico quesito, qualificato come quesito di diritto, mancando, quindi, in relazione al pure denunciato vizio motivazionale, il correlativo momento di sintesi con la chiara indicazione del fatto controverso e ritenuto decisivo per il giudizio. Questa Corte (cfr., tra le molte, Cass. civ. sez. 3 20 maggio 2013, n. 12248; Cass. civ. sez. 2 23 settembre 2011, n. 19443) ha avuto modo di chiarire che in tema di ricorso per cassazione è inammissibile la congiunta proposizione di doglianze ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5) salvo che non sia accompagnata dalla formulazione, per il primo vizio, del quesito di diritto, nonché, per il secondo, del momento sintesi (cfr. Cass. civ. sez. unite 1 ottobre 2007, n. 20603) o riepilogo, in forza della duplice previsione dell'art. 366 bis c.p.c..
Nella fattispecie manca in relazione al denunciato vizio motivazionale il cd. quesito di fatto omologo a quello di diritto e ciò comporta che la valutazione della CTR sulla natura del diritto del concessionario dell'area demaniale, ritenuto di natura personale, non sia attinta da valida censura che, sola, avrebbe potuto incidere su un giudizio di fatto (cfr. Cass. civ. sez. 5 ord. 10 ottobre 2011, n. 20787 ed altre coeve conformi, richiamate in maniera pertinente dalla difesa della controricorrente). Riguardo poi alla denunciata violazione di legge, pur contenendo il quesito un riferimento alla fattispecie in esame, il motivo ed il relativo quesito in primo luogo risultano carenti in relazione al requisito dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, non avendo il ricorrente trascritto, al fine di consentirne l'esame alla Corte sulla base del solo ricorso, gli estremi essenziali dell'avviso di accertamento riguardo alle fonti normative in esso indicate relativamente alla pretesa impositiva.
Le pronunce di questa Corte indicate nella memoria dell'Ente come favorevoli al Comune, rese in analogo contenzioso tra gli esercenti stabilimenti balneari della zona ed il Comune, ove anche siano, in taluni casi, pervenute, rigettando il ricorso delle società avverso le sentenze della CTR ad esse sfavorevoli, all'individuazione delle stesse quali soggetti all'imposizione ICI per l'anno 1998, quali titolari di un vero e proprio diritto di superficie sulle aree demaniali ad esse attribuite in concessione, non possono giovare nella presente controversia alla difesa del Comune - qui ricorrente - in ragione dell'inammissibilità del ricorso per le ragioni che si stanno in dettaglio esaminando quanto alla formulazione dei motivi e dei relativi quesiti.
9.3. Il terzo e quarto quesito sono formulati in modo del tutto astratto.
9.4. In ordine al quinto motivo, richiamato quanto si è innanzi osservato sub 9.2) in relazione ai vizi, denunciati congiuntamente, di violazione di legge e di insufficiente e/o contraddittoria motivazione, va anche qui rilevata l'omessa formulazione del conclusivo momento di sintesi con la chiara indicazione del fatto controverso ritenuto decisivo per il giudizio, mentre il quesito di diritto si risolve in un generico interpello alla Corte sull'interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 quale fonte per il Comune di attivarsi nell'esazione del tributo di propria spettanza in presenza anche in sostituzione dell'Agenzia del Territorio in presenza del riferimento a categoria catastale (E/9) ritenuta non più attendibile, prima dell'attribuzione (avvenuta solo nel 2005) della categoria D/8.
9.5. Ad analoga conclusione si deve pervenire, riguardo al vizio di violazione di legge prospettato con il sesto motivo, costituendo esso ulteriore sviluppo del motivo precedente in ordine alla denunciata violazione di legge del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 qui correlato all'art. 53 Cost. e art. 1367 c.c., quanto all'assoluta astrattezza del conclusivo quesito di diritto ivi formulato.
10. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità possono essere compensate nel rapporto processuale tra le parti costituite, inserendosi il presente giudizio in un più ampio contenzioso tra le parti.
Nulla va statuito sulle spese nel rapporto tra il Comune ricorrente e l'Agenzia del Territorio (ora Agenzia delle Entrate), non avendo essa svolto difese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese del presente giudizio di legittimità nel rapporto processuale tra le parti costituite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2015
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